17 novembre 2020 di Ilaria Pala
Premessa:
Generalmente, la comunicazione non violenta, si può definire come una forma comunicativa strategica, applicabile in contesti personali, sociali e lavorativi, utile a mediare e poi a risolvere conflitti in corso, utilizzando varie modalità non riconducibili alla violenza fisica e verbale, scegliendo di conseguenza la via della NON VIOLENZA, anche se, come vedremo più avanti, è molto di più di questo.
La non violenza, consiste nell’adottare un atteggiamento positivo che sostituisce gli atteggiamenti negativi che delle volte sovrastano noi stessi e la situazione.
Certe volte, quando ci si trova in situazioni che implicano dei conflitti, che sia in contesti lavorativi o personali, la tendenza è agire in modo egoistico, pensando dunque esclusivamente all’agire in funzione dei propri bisogni e necessità, credendo che questa sia la scelta migliore da fare, per sé stessi e per risolvere il conflitto.
Ora, provate a immaginare questa situazione: Siete un direttore/direttrice di un’orchestra sinfonica e dovete far sì che ogni strumento suoni le note giuste per creare la sinfonia. Cosa succederebbe se, ogni musicista seguisse il proprio volere e cambiasse le note, suonando quel che più lo aggrada? Esatto, la melodia sarebbe compromessa.
In situazione di conflitto dunque, è necessario smettere di pensare in modo individualistico, mettendo in pratica i precetti della comunicazione non violenta, che aiuteranno a migliorare noi stessi e la società in generale.
Marshall B. Rosemberg: I precetti fondamentali della comunicazione non violenta.
Quando si parla di comunicazione non violenta, il primo professionista a cui si fa riferimento è Marshall B. Rosemberg: è stato un importante psicologo clinico, direttore dei servizi educativi del The center for nonviolent communication, un’organizzazione internazionale che offre ancora oggi dopo la sua morte nel 2015, seminari sulla comunicazione non violenta.
Il testo più importante scritto da Marshall sulla comunicazione non violenta è:
“Le parole sono finestre, oppure muri- introduzione alla comunicazione non violenta.”
In questo volume, Marshall sostiene che una comunicazione di qualità, con se stessi e con gli altri, è ad oggi, una delle competenze più preziose.
La comunicazione non violenta si basa su abilità di linguaggio e di comunicazione che rafforzano la capacità di rimanere umani, anche in condizioni difficili.
Il suo scopo principale è quello di far ricordare che gli uomini sono esseri sociali, fatti per relazionarsi tra loro, aiutando così a vivere in un modo che è poi la manifestazione concreta di questa necessità.
La comunicazione non violenta ci guida nel ripensare le modalità mediante cui si esprime sé stessi senza dimenticare di ascoltare gli altri: ci si esprime liberamente rispettando allo stesso tempo gli altri, con attenzione ed empatia, ascoltando i nostri bisogni profondi, uniti a quelli dei nostri interlocutori percependo in nuovo modo la relazione.
Secondo Rosenberg, la comunicazione non violenta promuove l’ascolto e non lo scontro: il rispetto, attenzione ed empatia generano un bisogno reciproco di dare amore non pensando alla violenza o ad uno scontro verbale e fisico.
Non si parla dunque esclusivamente di un processo di comunicazione, o di un linguaggio di empatia, la comunicazione non violenta è di più: essa sollecita continuamente a concentrare la nostra attenzione su un piano diverso, dove è più probabile che si ottenga quel che si sta cercando.
Rosenberg intende la comunicazione non violenta come un modo per focalizzare la propria attenzione in modo tale che si accenda la luce della consapevolezza sui luoghi che hanno il potenziale di portare esattamente a quello che si sta cercando in quel momento; usando le parole stesse dello psicologo:
“Quello che desidero nella mia vita è l’empatia, uno scambio continuo tra me e gli altri basato su un reciproco darsi dal cuore”.
Come applicare la comunicazione non violenta: le quattro componenti principali.
Secondo Rosenbeg, per applicare correttamente la comunicazione non violenta e per arrivare ad un desiderio reciproco di “dare dal cuore”, si deve focalizzare la propria consapevolezza su quattro aree specifiche che si identificano come le quattro componenti principali della comunicazione non violenta.
Sono:
- OSSERVAZIONE: In primis, occorre osservare una data situazione o persona senza introdurre alcun giudizio o valutazione. Si dice semplicemente quello che gli altri stanno eseguendo in quel dato momento senza introdurre commenti personali.
- SENTIMENTI: Solo in questo secondo momento si afferma quel che l’osservazione ha scaturito a livello personale, come ci si è sentiti osservando questa situazione, se tristi, felici o anche spaventati.
- BISOGNI: Nel terzo passaggio, si verbalizzano i bisogni personali emersi collegandoli ai sentimenti e alle emozioni precedentemente descritte.
- RICHIESTE: Nel quarto e ultimo passaggio si dichiara e specifica la propria richiesta, ossia quel che si vuole dall’altra, o altre persone coinvolte, un elemento che potrebbe arricchire la propria vita.
Parte della comunicazione non violenta, consiste nell’esprimere queste quattro componenti in modo chiaro, verbalmente o in forma scritta.
Un secondo aspetto della comunicazione non violenta riguarda invece la ricezione delle medesime informazioni da parte delle altre persone coinvolte nel processo comunicativo: tutti devono seguire correttamente il procedimento, così che si abbia un’osservazione comune della situazione, un’espressione sincrona dei propri sentimenti e successivamente dei propri bisogni e delle richieste personali, arrivando a comprendere come risolvere un eventuale conflitto in corso e alle modalità con cui si può arricchire a vicenda la propria vita.
E’ importante sottolineare che, tutte le persone coinvolte in questo processo debbano esprimere onestà nella pratica dei quattro componenti ( ad esempio una persona dovrà essere onesta nella verbalizzazione dei propri sentimenti, altrimenti sarà introdotto nel processo comunicativo una componente falsata) e successivamente ricevere con empatia tutte le informazioni ricevute con il procedimento.
La comunicazione violenta: tutto quello che non si deve fare.
L’empatia, è una condizione umana importantissima, che assume la stessa importanza anche nel campo della comunicazione non violenta. Occorre dunque preservarla, riconoscendo a pieno, per poi evitare di utilizzarle, forme comunicative tossiche per l’empatia stessa e per la comunicazione non violenta.
Secondo Rosemberg, queste forme di linguaggio e di comunicazione sbagliate sono:
- I GIUDIZI MORALISTICI: Questo tipo di comunicazione aliena dalla vita, perché i giudizi moralistici, perché essi implicano il torto o la cattiveria di quelle persone che non agiscono in armonia con i nostri valori.
Ad esempio, se si dice ad un’ altra persona “Il tuo problema è che sei troppo pigro, non hai voglia di fare niente” la si incolpa, etichetta, insulta, la si critica e in modo implicito la si mette a paragone con altri. Tutti questi giudizi messi attivati faranno sì che la forma di comunicazione adottata non potrà essere non violenta, perché i precetti fondamentali di quest’ultima non sono stati eseguiti, tanto meno l’empatia non potrà essere messa in pratica da una persona che si è sentita giudicata in questo modo.
- FARE PARAGONI: Un’altra forma di giudizio è l’uso di paragoni. Non appena si comincia ad equiparare una persona ad un’altra, è quasi certo che una delle due o entrambi saranno infelici.
Facciamo un esempio: Un bambino della scuola materna che ha avuto comportamenti non adeguati al contesto, La maestra, lo riprende a fine giornata davanti a tutti la classe dicendo che lui non è stato un bravo bambino, paragonando lui agli altri compagni che invece hanno seguito le regole.
Quali potranno mai essere le conseguenze di queste affermazioni della maestra? Certamente il bambino si sentirà mortificato e giudicato negativamente, si sentirà sbagliato rispetto ai compagni di classe.
Anche in questo caso, è ben chiaro che e i precetti della comunicazione non violenta siano venuti meno e che una risposta empatica non sia eseguibile in date circostanze.
- NEGAZIONE DELLE PROPRIE RESPONSABILITA’: Un altro tipo di comunicazione che aliena dalla vita è la negazione delle responsabilità. Questa offusca la consapevolezza del fatto che ciascuno sia responsabili dei propri pensieri, sentimenti e azioni. Un esempio eclatante è quel che si verifica quando si pronuncia la frase: “ Ci sono cose che si DEVONO FARE, è così e basta”. Ecco, con quel “ SI DEVE”, si oscura la responsabilità personale delle proprie azioni, perché ci si sente obbligati nell’eseguire un data azione, togliendo anche la libertà di pensiero e di libera scelta riguardo alla possibilità di compierla o no.
Anche questa, è identificabile come una forma violenta di comunicazione, alla quale occorre privilegiare un linguaggio che implica una possibilità di scelta e in cui si è responsabili delle proprie scelte.
Conclusione:
In questa breve panoramica della comunicazione non violenta, è emerso che essa non obbliga ad essere completamente obiettivi e ad abolire ogni giudizio, chiede di separare le osservazioni dalle valutazioni personali ( questo è un passaggio fondamentale per chi svolge un ruolo educativo).
La comunicazione non violenta è un linguaggio di processo che scoraggia, scrive Rosenberg, le generalizzazioni statistiche e ci invita a fondare le valutazioni su osservazioni specifiche per quanto riguarda il tempo e il contesto.
Tutto quello che è stato scritto fino ad ora, si riassume in queste meravigliose parole di Rosemberg:
Posso sopportare che tu mi dica
Quello che ho fatto e quello che non ho fatto.
Posso sopportare le tue interpretazioni.
Ma ti prego di non confondere le due cose.
Se vuoi complicare qualsiasi questione
Ti posso dire come puoi fare:
Confondi quello che faccio
Con il modo in cui tu reagisci.
Dimmi che sei frustrato
Per i lavori che non porto a termine
Ma chiamarmi irresponsabile non è certo un modo per motivarmi.
E dimmi che ti senti triste
Quando dico di no alle tue proposte,
Ma dirmi che sono freddo e insensibile
Non aumenterà le tue possibilità.
Sì, posso sopportare che tu mi dicaQuello che ho fatto e che non ho fatto.
E posso sopportare le tue interpretazioni.
Ma ti prego, non mescolare le due cose.
Quello che ho fatto e quello che non ho fatto.
Posso sopportare le tue interpretazioni.
Ma ti prego di non confondere le due cose.
Non mescolate le due cose ma osservate e non valutate.
BIBLIOGRAFIA: Rosemberg B. Marshall; Le parole sono finestre, oppure muri. Introduzione alla comunicazione non violenta. ;Esserci edizioni 2020.