19 Giugno 2020
di Sara e Cecilia

Oggi offriamo un piccolo viaggio, dal Mar Baltico alla costa orientale del Mar Mediterraneo, all’interno di due scuole lontane tra loro, raccontate da ex studenti.

Tra i modelli scolastici, quello svedese è considerato da molti uno dei migliori. La scuola è alla base del progresso di un Paese, ed è per questo che in Svezia vi è una particolare attenzione nell’agevolare il percorso di studi per bambini e famiglie.

Proprio per questo le scuole svedesi cercano di garantire lo stesso grado di istruzione, annullando differenze di tipo economico.


Infatti, a tutti gli studenti vengono garantiti servizi gratuiti tra cui la mensa, anche per chi finisce alle 13, trasporti pubblici gratuiti dal lunedì al venerdì, durante il periodo scolastico, ingressi ai musei e i materiali di cui abbisognano, quindi quaderni, matite e penne. Gli studenti vengono inoltre dotati di tablet o computer in comodato d’uso, su cui vengono caricati i programmi di studio e che possono usare durante il tempo libero, la famiglia può anche scegliere di optare per strumenti informatici più performanti, versando una piccola quota alla scuola come garanzia.

Dalla prima media i ragazzi possono rapportarsi con uno psicologo e un sessuologo messi a disposizione dalla scuola, che hanno il compito di seguirli e supportarli in un momento così delicato quale l’adolescenza.

Il percorso scolastico pubblico è suddiviso in 13 anni:

  • 1 anno di scuola prescolare;
  • 9 anni di scuola dell’obbligo;
  • 3 anni di scuola superiore.

L’obbligo scolastico inizia a 7 anni, a 5-6 anni è però possibile frequentare un prescuola che prepara il bambino agli anni successivi, in modo che non si ritrovi spiazzato dal passaggio brusco tra giornate passate a giocare (scuola materna) e il vero e proprio inizio del percorso di studi.

Le elementari durano 6 anni, mentre medie e liceo 3 anni, l’obbligo scolastico termina al compimento del 16° anno.

Le lezioni durano 45 minuti perché secondo vari studi psicologici e pedagogici, dopo questo periodo si ha un calo della soglia dell’attenzione e in linea con gli stessi studi viene fatta una pausa di un quarto d’ora in cui gli studenti sono obbligati ad uscire dall’aula per godere dell’aria aperta. Per la pausa pranzo e a metà mattina si ha a disposizione una pausa più lunga di 30-35 minuti.

Per i bambini delle elementari dopo l’orario scolastico sono disponibili dei post-scuola fino alle 18, dove passano il tempo a giocando o imparando a suonare uno strumento. I compiti a casa infatti, sono pochissimi perché dopo 5 ore di scuola (8-13) il bambino è stanco e ha il diritto di riposarsi. Quotidianamente vengono affrontate tre materie, per non creare troppa confusione nell’apprendimento. L’abbandono scolastico si aggira intorno al 2% e la media di studenti universitari che portano a termine il corso di laurea intrapreso è altissima quasi 98%.

Il tempo a scuola è sfruttato al massimo, chi ha difficoltà come dislessia, discalculia, può impiegare il pomeriggio per fare esercizi di recupero senza rischiare di rimanere indietro con altri compiti.

L’assunzione degli insegnanti è demandata ai vari comuni, che possono assumere e/o licenziare in caso di necessità, il loro stipendio è fissato da un contratto collettivo nazionale, ma può variare da comune a comune. Durante il periodo di “vacanza estiva” gli insegnanti hanno l’obbligo di seguire corsi di formazione e aggiornamento. Anche a loro vengono forniti in comodato d’uso gratuito pc/tablet da utilizzare esclusivamente per l’attività scolastica.

Abbiamo avuto l’occasione di poterci far raccontare anche come sia il sistema scolastico in una città grande della Palestina come Hebron.

Il percorso scolastico pubblico è suddiviso in 12 anni:

  •  6 anni di scuola elementare;
  • 4 anni di scuola media;
  • 2 anni di scuola superiore.

In questo caso le materne esistono solo sotto forma di scuole private a pagamento. Per le elementari, medie e superiori statali vi è invece una sola quota di corrispettivi 10 euro ed i libri vengono disposti gratuitamente ai bambini con il patto di restituirli a fine dell’anno.

Nelle grandi città le classi sono formate da 30/40 allievi e gli insegnanti si dividono in due turni, la mattina ed il pomeriggio, al fine di rispondere alla grande domanda di alunni e ovviare leggermente al problema degli spazzi ristretti delle aule. Non ci sono in oltre classi miste fino alle medie, tranne in alcune scuole private, come quelle cattoliche per esempio, in cui non vi è una divisione di genere per nessun degli anni scolastici.

Il metodo didattico si basa prettamente sulla memoria e la teoria, di fatto è raro trovare scuole in cui ci siano materie verso l’arte, come per esempio musica. In più solo in poche strutture c’è la possibilità di scegliere un’altra seconda lingua oltre all’inglese, com’è invece di consueto nelle medie. Oggigiorno però si è diffuso l’insegnamento di tale lingua già dall’elementari.

Per questioni culturali è molto sentito l’insegnamento della religione. Infatti, escluso per chi è cristiano ed in certe scuole, vi è l’obbligo di insegnare e partecipare alla lezione per tutti gli allievi.

Rispetto all’Italia, c’è una tipologia più ristretta di indirizzi scolastici delle scuole superiori. Si può scegliere tra: il liceo, scientifico o classico, oppure il tecnico-professionale, il quale spazia dal corso informatico a quello di falegnameria. Esiste però un’altra curiosa realtà relativa alle scuole private, ossia ci sono dei gemellaggi con scuole di altri paesi, le quali offrono l’esperienza di poter fare uno scambio tra alunni di distinte realtà. Ciò permette a questi ragazzi di poter vivere e osservare per un breve periodo diverse prospettive sociali e culturali. In più vi è un ulteriore particolarità che riguarda le scuole gestite dall’ UNRWA, ossia l’“Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente”, la quale si dedica gratuitamente al soccorso, allo sviluppo, all’ istruzione, all’ assistenza sanitaria, ai servizi sociali e ad aiuti di emergenza per i rifugiati delle zone di guerra.

In Palestina non c’è l’obbligo scolastico, infatti è comune che ragazzi tra i 12 e 15 anni decidano di mollare gli studi per lavorare. Solitamente le ragioni consistono nella necessità di dover aiutare in casa economicamente o nell’attività di famiglia.

Infine vi sono le università, le quali sono solo miste, sebbene la presenza femminile sia una minoranza. Queste seguono un modello statunitense per cui vi sono 2 anni, alla fine dei quali si prende un diploma. Successivamente è possibile scegliere tra due alternative:

  • 4 anni di università, alla conclusione dei quali viene rilasciato il “bachelor’s degree”, che andrebbe a corrispondere all’equivalente della triennale in Italia;
  • Fare un corso di laure della durata di 5 anni.

Dopodichè, se si vuole continuare gli studi, ci sono 2 anni di magistrale ed infine 2 o 3 anni (dipende dal corso che si va a scegliere) di dottorato.

Il sistema degli esami è molto più complesso rispetto a quello italiano, in quanto in tutti i corsi vi è l’obbligo di frequenza. Alla fine di questi vi è un solo appello e nel caso non si riesca a superarlo, si è costretti a rifrequentare il corso dall’inizio e ritentare l’anno successivo. Questo crea non poche difficoltà ai lavoratori, per i quali vi sono poche agevolazioni.

Infine vi sono anche le borse di studio, le quali tengono conto principalmente della situazione familiare, più che della media dei voti, però purtroppo c’è ne sono poche.

Questa esperienza che ci è stata raccontata si basa su 12 anni fa, perciò oggigiorno può essere effettivamente cambiato qualcosa, e si tratta di una città in cui c’è relativo benessere rispetto alle zone colpite dalla guerra, dove purtroppo la situazione è ancor più differente.

Scuole a confronto

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