di Alice, 8 dicembre 2020
Ho ancora i brividi se ci penso: Io, lui, Disneyland e una proposta di matrimonio; cosa si può desiderare di più? D’altronde è il sogno di ogni bambina.
Poi le “classiche” cose: l’emozione di parlarne con i parenti, organizzare la cerimonia, vedere l’abito da sposa, la sensazione di sentirsi realizzati, di avere finalmente la vita in pugno.
Ti guardi allo specchio e dici “sto in una favola”, ma non sempre le favole sono a lieto fine, giusto?!
Iniziarono i preparativi, e man mano che progredivano le discussioni su ciò che andava bene o meno si fecero sempre meno sporadiche, dapprima una volta ogni tanto, poi qualche volta durante la settimana ed infine ci trovammo a litigare ogni giorno su tutto.
Mi sentivo un po’frustrata, non capivo cosa fosse cambiato, cosa ci facesse ora mettere in discussione tutto.
Le discussioni continuavano ogni singolo giorno per ogni singola cosa, erano più le volte che piangevo di quelle in cui sorridevo.
Finché non sono arrivati anche i primi insulti; inutili ed ignobili, non meritano nemmeno di essere riportati, quello che mi fa star male tutt’ora, anche a distanza di un anno e mezzo, è “non vali niente”.
Mi sentivo così piccola e inutile, alle volte, senza rendermene conto mi rannicchiavo nell’angolo del divano con le ginocchia al petto e lo sguardo perso nel vuoto.
Nell’ultimo periodo ricordo che mi svegliavo piangendo e mi chiedevo dove stessi sbagliando o cosa facessi di male, cosa gli mancasse, cosa meritava. Questo “mal stare” aveva ripercussioni anche a livello lavorativo: arrivavo a lavoro cercando di nascondere tutto e per un periodo relativamente lungo ci sono anche riuscita, però, mi resi conto che non ero motivata, non avevo idee per nuove attività, avevo la mente completamente vuota; nella testa mi riecheggiavano solo i suoi insulti e le sue offese.
Un giorno decisi di cambiare atteggiamento: quando c’era una discussione scappavo, uscivo molto di più pur sapendo che a lui dava fastidio (era un ragazzo molto geloso e possessivo/ossessivo), gli rispondevo a tono, finivo di lavorare e tardavo nel tornare a casa per non trovarlo; queste “piccole” cose mi permettevano di tirare un sospiro di sollievo e capire cosa fare, cercavo di comprendere cosa provassi per di lui.
Una sera uscii e tornai a casa tardi, lui mi stava aspettando, ovviamente, e mi chiese dove fossi stata, con chi fossi. Potete immaginare le domande che una persona gelosa e possessiva fa in questi frangenti.
Me lo ricordo benissimo, in ogni minuscolo dettaglio, seduta sul letto, a mezzanotte. Iniziò a discutere, io non ne avevo più le forze; volarono insulti e offese, io, lo sguardo fisso nel vuoto, lo lasciavo fare, ad un certo punto spinta da una forza che non immaginavo di possedere, mi alzai e decisi di infilare in uno zaino pigiama e spazzolino, giusto per passare la notte fuori, non sapevo dove andare, ma DOVEVO andare via.
Gli insulti si fecero più pesanti, prese le mie chiavi e mi chiuse dentro casa con lui; nascose le sue chiavi, in quell’attimo ebbi davvero paura, subdola, paralizzante paura, iniziarono a vorticarmi nella testa mille altri interrogativi, mi chiedevo se sarebbe stato in grado di colpirmi, mi domandavo se sarei riuscita a trovare un modo per uscire da lì. Mi fiondai verso di lui per prendergli le chiavi, senza però riuscirci, iniziò a spingermi, io mi sentivo impotente davanti alla persona che avrebbe dovuto proteggermi, davanti al mio futuro marito.
Presa dal panico chiamai l’unica persona che sapeva tutto, la mia migliore amica; volevo chiamare i carabinieri, avrei dovuto, non so per quale motivo non l’abbia fatto e, ad oggi, credo di aver fatto la scelta sbagliata.
Dopo questo episodio mi servì un’altra settimana prima di uscire da quella che chiamavo “casa nostra”. Per mesi non ho mangiato, ero angosciata, sapevo che lui mi controllava e conosceva ogni mio spostamento.
Ho avuto la fortuna di avere gli amici che mi hanno aiutato molto, mi hanno supportato e difeso.
Oggi, dopo un anno e mezzo, lotto ancora con questo demone che mi porto dentro, mi ritengo molto fortunata perché alla fine non mi successo nulla di eccessivo, ma ho avuto molta paura, e seppur invisibile, questa ha lasciato su me una cicatrice. Ci sto ancora lavorando, con l’aiuto di una psicologa, perché chi come me si è siamo trovato in una situazione simile sa come sia semplice convincersi che sia colpa nostra, che le reazioni esagerate dipendano da noi, da qualche nostro sbaglio, ma non è così.
Da quando ho iniziato a guardare la vita con una prospettiva diversa ho capito improvvisamente dopo due anni, che non sono sbagliata come lui voleva farmi credere.